La Congiura dei Baroni
e l’Assalto al Castello di Teggiano
La storia medievale di Teggiano è segnata da due importanti avvenimenti: la Congiura dei Baroni e l’Assalto al Castello .
La Congiura dei Baroni è un complotto ordito nel XV secolo dai baroni meridionali contro il re aragonese Ferdinando I. Il principe di Salerno e Signore di Diano, Antonello Sanseverino, ne fu un indiscusso protagonista.
Quale fu il fattore scatenante della Congiura dei Baroni?
La nuova dinastia aragonese, insediatasi nel Regno di Napoli nel 1442 con la sconfitta degli Angioini, voleva mettere in atto una “riforma organica dello Stato”, che consisteva sostanzialmente nella riduzione del potere feudale a vantaggio di quello regio e di quello della nuova classe emergente di mercanti e imprenditori.
Da alcune ricerche è emerso che i possedimenti baronali nel Regno di Napoli erano all’epoca di gran lunga superiori rispetto a quelli monarchici: su 1550 centri abitati, poco più di cento erano sotto il controllo della Corona. Per esempio, i territori posseduti dalla sola casata Sanseverino si estendevano dalla Calabria alla Basilicata e a Salerno, arrivando quasi fino a Napoli.
È quindi comprensibile che Ferdinando I volesse dare un freno allo strapotere dei feudatari e incorporare quante più città possibili al regio demanio.
I Signori feudali, d’altro canto, erano insofferenti a questa politica accentratrice e non avevano alcuna intenzione di restare fermi a guardare.
Un primo scontro tra i baroni napoletani e la monarchia aragonese era già scoppiato tra il 1459 e il 1464 e si era concluso con la vittoria del re.
Nel 1485 il principe di Salerno Antonello Sanseverino ordì la Congiura dei Baroni insieme ai consiglieri “fidati” del re Antonello Petrucci e Francesco Coppola. Furono coinvolte molte famiglie feudatarie del Regno, di parte guelfa e favorevoli agli Angioni: i Sanseverino; i Petrucci; i Caracciolo, principi di Melfi; i Gesualdo, marchesi di Caggiano; i Del Balzo, principi di Altamura e duchi di Andria e Venosa; i Guevara, conti di Apice ed Ariano; i Senerchia, conti di Rapone e Sant’Andrea; i Caldora e i baroni Senese.
I baroni cospiratori si riunirono a Melfi per discutere della proposta avanzata da Pietro de Guevara, marchese del Vasto e conte di Ariano, di opporsi alla successione al trono del duca di Calabria Alfonso II d’Aragona (il figlio primogenito di re Ferrante) che aveva manifestato apertamente e a più riprese la sua posizione antibaronale.
Per fare ciò, serviva l’aiuto di papa Innocenzo VIII, il quale – date le rivendicazioni dello Stato Pontificio sul Regno – avrebbe potuto negare l’investitura di erede al trono ad Alfonso e imporre un altro pretendente da contrapporre agli Aragonesi. In tal modo sia il papa sia i baroni si sarebbero assicurati una successione a loro più favorevole. Infatti, anche il papa era indispettito con il sovrano aragonese, perché questi si rifiutava di versare il tributo annuo promesso ai predecessori. Dunque, istigato dal prefetto di Roma Giuliano Della Rovere, il pontefice si schierò dalla parte dei cospiratori e promise l’aiuto del condottiero Roberto Sanseverino.
Il piano prevedeva che i congiurati impedissero al re di attraversare i loro territori; in questo modo avrebbero bloccato i collegamenti tra Napoli e il resto del Regno, permettendo al papa e ad altri alleati di penetrarvi indisturbati passando per il confine tra lo Stato Pontificio e l’Abruzzo.
Prima di procedere all’azione, furono inviati Girolamo Sanseverino, principe di Bisignano e il Coppola a fare da mediatori presso la corte aragonese. Apparentemente sembrava che le parti stessero trovando un accordo, invero ci furono una serie di inganni e finte paci.
Gli equilibri precari si spezzarono il 19 novembre 1485, data ufficiale di inizio della battaglia tra baroni e Aragonesi. L’Aquila si ribellò al re e innalzò gli stendardi pontifici e lo stesso fecero i capi della Congiura dei Baroni che intanto avevano catturato il figlio del re Federico, recatosi a Salerno per le trattative.
Dopodiché si proseguì con una serie di operazioni belliche dentro e fuori ai confini del Regno.
Fin quando, come riporta lo storico Camillo Porzio (autore di una monografia sulla Congiura dei Baroni), il 26 settembre 1485 si ebbe l’incontro decisivo tra i baroni e il re a Miglionico, nel castello del Malconsiglio. In quella occasione Ferdinando I si dimostrò molto indulgente e comprensivo, spingendo i presenti a sottoscrivere la pace e a convincere anche gli assenti, soprattutto il principe Antonello Sanseverino.
Infatti, il Sanseverino rifiutava ostinatamente qualsiasi tipo di accordo, rimanendo sempre più isolato.
Il 7 maggio 1486 ci fu uno scontro decisivo a Montorio che terminò con la vittoria degli Aragonesi.
Poiché la situazione diventava sempre più critica per la parte in ribellione, Innocenzo VIII decise di mollare la presa e di avviare le trattative di pace.
L’accordo fu siglato l’11 agosto1486, secondo tali patti: il re avrebbe pagato il tributo allo Stato Pontificio; i ribelli e gli Orsini (che avevano combattuto contro la Chiesa) avrebbero ricevuto l’amnistia; l’Aquila avrebbe avuto la libertà di soggiacere al potere papale; i Sanseverino sarebbero stati “licenziati”.
Tuttavia, le intenzioni di Ferdinando I non erano sincere. Il 13 agosto 1486, il sovrano trasgredì ai patti e attirò i baroni ribelli in una trappola: una volta invitati a Castel Nuovo con il pretesto di festeggiare le nozze della nipote, li fece arrestare e uccidere. I primi ad essere colpiti furono proprio i suoi ex collaboratori, i Petrucci e i Coppola.
Non contento, Ferdinando completò la sua sanguinaria vendetta: prima catturò i familiari dei cospiratori e ne confiscò i beni; poi, si riappropriò dell’Aquila e ne fece uccidere il vicario pontificio.
Nel maggio del 1487, Ferdinando d’Aragona dichiarò invalido il trattato di pace e si rifiutò di versare il censo promesso al Papa.
La Congiura dei Baroni aveva subito un pesante smacco. Gli Aragonesi erano riusciti ad avere la meglio.
Cosa ne era stato del principe Antonello Sanseverino?
Nonostante gli fossero stati confiscati i feudi, egli non aveva alcuna intenzione di arrendersi e continuava a tramare congiure ai danni degli Aragonesi, presso la corte di Carlo VIII in Francia, dove si era trasferito.
Il 7 marzo 1495 rientrò a Napoli insieme a Carlo VIII, che aveva conquistato il Regno, e si riappropriò dei possedimenti sottratti.
Quando l’anno successivo la monarchia aragonese tornò al potere, sembrò quasi che il principe fosse bendisposto verso il nuovo sovrano Federico d’Aragona.
Ma nuove incomprensioni sopraggiunsero a complicare i rapporti. Dopo aver rifiutato le proposte di riconciliazione del re e avergli dichiarato guerra con il sacco della dogana regia di Salerno (24 settembre 1497), Antonello fu dichiarato ribelle.
La campagna militare volse a favore di Federico, il quale si impadronì di Polla e Sala e poi passò ad assediare Teggiano.
Eccoci giunti all’Assalto al Castello di Diano (oggi Macchiaroli).
Il principe Antonello Sanseverino si asserragliò nel Castello e, sostenuto dalla popolazione, resistette per circa tre mesi all’attacco dell’esercito aragonese formato da ventimila fanti e cavalieri. La strenua resistenza valse al Castello di Teggiano la fama di fortezza inespugnabile.
Malgrado ciò, l’arrivo di nuove truppe costrinse i Sanseverino ad arrendersi e a firmare un trattato di pace. Il concordato prevedeva che venisse concesso l’indulto regio all’intera cittadina, a patto che il principe di Salerno cedesse i suoi beni e andasse via da Diano.
A metà gennaio del 1498, Antonello Sanseverino consegnò i suoi feudi e, ottenuto il denaro pattuito, si spostò a Trapani e di lì, il mese successivo, a Senigallia.
Un anno dopo, il 27 gennaio 1499, lo strenuo oppositore degli Aragonesi passò a miglior vita.
Intanto, il comando del feudo di Diano era stato affidato al figlioRoberto Sanseverino, al quale era succeduto Ferrante, ultimo esponente del casato e ultimo principe di Salerno.